Bonjour!
(anzi, bonsoir vista l'ora)
Chiedo perdono per la latitanza, ma le energie sono sempre meno, di quelle che mi piacerebbe avere :)
Il post di questa sera è dedicato alla onlus "VORREI PRENDERE IL TRENO" di Iacopo Melio - questa, per chi non la conoscesse, è la pagina fb (CLICK! QUI) e, a quanto pare, il più bel articolo riguardante questa associazione, che raccoglie fondi per abbattere le barriere architettoniche, è stato scritto da Franco Bomprezzi per Il blog InVisibili [si presenta dal
nome: denuncia una condizione nella quale troppo spesso vive chi ha a
che fare con una disabilità. L'obiettivo del blog è cambiare questa
situazione: innanzitutto parlandone, nel modo più chiaro e sereno
possibile. Discutendo idee, proposte, progetti per mettere i disabili in
condizione di vivere e confrontarsi alla pari...] del Corriere della Sera e si trova qui (CLICK!)
Sono sempre carica di rabbia, quando mi trovo ad affrontare la realtà di una barriera architettonica. Spesso però leggo (o vedo) di persone con situazioni molto più limitanti della mia, e , in quei frangenti, l'incazzatura per me stessa viene messa da parte e soppiantata da quella che provo per gli altri, che magari non hanno nemmeno la forza di ribellarsi.
Un modo per cercare di fare qualcosa per l'abbatimento delle barriere architettoniche è fare una donazione, acquistando una simpatica maglietta di #vorreiprendere il treno.
Io ne ho acquistata una per me, con scritto "POSSANO I VOSTRI SOGNI PESARE PIU' DELLE VOSTRE SCUSE", almeno rimango ancorata a quelli e la smetto di lagnarmi.
Ne ho presa una anche per mio nipote e (dato che si avvicinava la data del suo compleanno) una al mio cuginetto Francy. Credo sia una bella idea! Per un'ottima causa.
Aurevoir,
martedì 2 agosto 2016
lunedì 25 aprile 2016
ANCHE IO CE L'HO FATTA! (AD ANDARE A BOLOGNA)
Bonjour!
Stamattina intorno alle undici
E subito il mio pensiero è andato (come per la maggior parte della gente che ha commentato) a quanto in Italia, per le persone con disabilità, siano ancora presenti tante/ troppe "barriere" che ostacolano la nostra buona voglia di fare.
Ma poi ho pensato che, altre volte, se sei disposto a farti dare una mano e trovi persone disposte - lo so, ho usato due volte lo stesso termine in una frase, ma l'ho fatto volutamente - ad aiutarti, anche cose che penseresti infattibili, si possono realizzare.
Io non ho dodici anni, ne ho (quasi) trentasei. Eppure, oggi, che in tante occasioni sono costretta a utilizzare la sedia a rotelle e, per molte "faccende" non sono completamente autonoma, quando vedo che le cose per le quali devo chiedere "una mano" sono più di quelle che "riesco a far da sola", spesso... mollo l'obiettivo. Dico: non ce la faccio. E già il dire NON CE LA FACCIO, mi farà sembrare molto più difficile affrontare una situazione.
A Dicembre c'era la cena aziendale: a volte si fa a Roma, a volte a Milano, quest'anno era a Bologna. Avremmo dovuto prendere un treno, dopo l'orario di lavoro, arrivare a Bologna, cenare, festeggiare, prendere un treno per tornare. Oppure dormire nella struttura in cui si cenava e poi tornare la mattina e presentarci al lavoro.
Per me era una cosa infattibile: ho una "resistenza alla fatica" molto più bassa del normale. Mi stanco facilmente. E poi il treno non lo prendo in autonomia dai primi anni del 2000. Avrei dovuto chiedere l'assistenza alla sala blu e chiedere poi a un taxi per fare il tragitto stazione - hotel. O qualcosa del genere.
Quando ho detto ai miei colleghi che sarei voluta andare anche io, abbiamo valutato l'idea di noleggiare un "pulmino". Perchè il problema, mio, non è solo salire. Il problema è anche che, restando più di un tot di ore con le gambe "piegate", poi non cammino più, del tutto. Non sono una "molto facile" da gestire.
E' stato lui a offrirsi per guidare "il mezzo" (è il più giovane all'anagrafe, ma anche il più responsabile. Se trova qualcuno per strada che ha bisogno di una mano, si ferma e chiede se può essere d'aiuto). Desy e Consu gli sarebbero state accanto sul sedile davanti, per tenerlo sveglio durante il tragitto.
Eli, Claudia e io eravamo nel sedile comodo di mezzo, quello in cui potevi stendere le gambe.
Mauri, Gianpy e Barbara erano sul sedile posteriore.
Ormai sono trascorsi quattro mesi da quel viaggio, non ricordo esattamente cosa sia accaduto nel viaggio d'andata. Ricordo però l'arrivo a Bologna: città bellissima, che mai avevo visitato.
Grazie ad alcuni colleghi che mi hanno spinta sulla carrozzina, abbiamo fatto un giretto nella piazza. Era Dicembre e faceva piuttosto freddo, ma non un freddo esagerato.
e, in quella piazza, abbiamo trovato dei nostri colleghi (di cui non ho memorizzato il nome) con i quali abbiamo raggiunto altri colleghi che stavano facendo un aperitivo "in strada". Ci sono queste viettine a Bologna, con i locali, in cui la gente resta in piedi, oppure prende un bicchiere e resta a chiacchierare in strada.
Fosse stata un'altra occasione, avrei temuto per le mie ginocchia. Però, non lo so, ero talmente contenta di esserci, che non ho fatto caso al freddo.
Il palazzo in cui avremmo poi cenato era piuttosto vecchio. La persona che era di guardia all'ingresso non ci ha lasciati entrare fino alle otto e , vedendomi "in crisi" per l'accesso alla sala superiore (ha sentito che con due colleghi parlavamo dell'eventuale mio trasporto in carrozzina), mi ha rasserenata dicendo che c'era un altro ingresso con ascensore. C'era anche il bagno per disabili e una piattaforma per raggiungere la sala chic della cena.
Non ricordo di essere mai stata in un ristorante così bello! Se, anche questa volta, avessi ascoltato "il mio fisico, le mie paure" mi sarei preclusa quest'ennesima serata.
So che non ero al massimo della forma e, essendomi trattenuta col bere, non ero nemmeno al massimo della simpatia :)))). Dopo l'aperitivo in piedi (che è stato il mio primo aperitivo da "seduta sulla carrozzina") ci siamo divisi in tre tavoli e mescolati a colleghi di altre stazioni. Tra i piatti di portata c'erano i garganelli (di cui lessi anni fa in un racconto di Lucarelli "I garganelli al ragù della Lilina") e, al termine, una tombolata in cui ho vinto un cappellino.
Intorno a mezzanotte/ l'una siamo andati a recuperare il nostro mezzo. Mauri, che durante la sera (con mia somma invidia) aveva trascorso gran parte del tempo al bancone dei free drink cercando di conquistare una collega facendo leva sul suo amore per i cani, al quinto o sesto incitamento da parte di mamma Barbara (coetanea) si è deciso ad abbandonare la festa. Si è incamminato sottobraccio alla Eli, che camminava su tacchi vertiginosi, cercando di mantenere l'equilibrio sui sanpietrini.
Credo di essere riuscita a dormire mezz'ora in auto. Qualcuno, non riuscendo a dormire, (a differenza di Consu e Desy che avevano abbandonato Teo alla guida da un pezzo...) ciclicamente lasciava scivolare una mano sulla mia testa, svegliandomi e chiedendo "Ila perchè hai bevuto così poco? Mi hai deluso". E' che... quella sera non era proprio serata.
Siamo tornati a Gallarate intorno alle tre e mezza, eravamo a letto verso le quattro. Eli mi ha fatto la gentilezza di riaccompagnarmi a casa (per la gioia di mia madre! Che, a trentacinque anni suonati, ancora si preoccupa delle mie condizioni di salute) ed è rimasta a dormire da me. Si è addormentata immediatamente! Mentre io, emozionata, frastornata per la serata, ho impiegato più di mezz'ora ad addormentarmi.
Il giorno dopo, al lavoro, la stanchezza era visibile sul mio volto. Mi sono spinta "oltre" le mie possibilità. Ci tenevo a questa cena e ho trovato chi mi ha dato una mano a realizzare questa (per me) grande conquista.
Una mia amica che, da qualche anno, studia a Bologna, vedendo alcune foto su fb mi ha chiesto "Ila! ma eri a Bologna! Potevi dirmelo, ci vedevamo"
"Sono stata lì solo una sera..."
Altri miei amici, quelli che frequento da oltre dieci anni, mi hanno fatto i complimenti "grande Ila! Sei andata a Bologna? Che sbatta..."
Altri mi hanno detto che sono pazza. Ma quello... un pochino, già si sa.
E comunque... da soli, non tutti possono fare tutto. Io, grazie a Teo, Desy, Consu, Mauri, Gianpy, Eli, Barbara e Clà... ci sono riuscita!
Au revoir
Stamattina intorno alle undici
(ero sveglia da poco. Mi ero svegliata una prima volta alle sette, sono stata sveglia nel letto un'oretta e mi sono riaddormentata fino a un orario consono, a una giornata di festa, in cui non ho nulla in programma per la mattinata)
mentre facevo colazione con un sanissimo yo yo e un the verde allo zenzero, ho letto su una pagina fb che seguo, la bella storia di un ragazzino dodicenne, affetto da distrofia muscolare, che è riuscito, non senza tante peripezie, ad andare in Olanda, per fare uno scambio culturale alla pari. Ho pensato che fosse una cosa meravigliosa! Che una persona che necessita di "assistenza continua" abbia potuto partecipare a un'esperienza straordinaria alla pari dei suoi amici.E subito il mio pensiero è andato (come per la maggior parte della gente che ha commentato) a quanto in Italia, per le persone con disabilità, siano ancora presenti tante/ troppe "barriere" che ostacolano la nostra buona voglia di fare.
Ma poi ho pensato che, altre volte, se sei disposto a farti dare una mano e trovi persone disposte - lo so, ho usato due volte lo stesso termine in una frase, ma l'ho fatto volutamente - ad aiutarti, anche cose che penseresti infattibili, si possono realizzare.
Io non ho dodici anni, ne ho (quasi) trentasei. Eppure, oggi, che in tante occasioni sono costretta a utilizzare la sedia a rotelle e, per molte "faccende" non sono completamente autonoma, quando vedo che le cose per le quali devo chiedere "una mano" sono più di quelle che "riesco a far da sola", spesso... mollo l'obiettivo. Dico: non ce la faccio. E già il dire NON CE LA FACCIO, mi farà sembrare molto più difficile affrontare una situazione.
A Dicembre c'era la cena aziendale: a volte si fa a Roma, a volte a Milano, quest'anno era a Bologna. Avremmo dovuto prendere un treno, dopo l'orario di lavoro, arrivare a Bologna, cenare, festeggiare, prendere un treno per tornare. Oppure dormire nella struttura in cui si cenava e poi tornare la mattina e presentarci al lavoro.
Per me era una cosa infattibile: ho una "resistenza alla fatica" molto più bassa del normale. Mi stanco facilmente. E poi il treno non lo prendo in autonomia dai primi anni del 2000. Avrei dovuto chiedere l'assistenza alla sala blu e chiedere poi a un taxi per fare il tragitto stazione - hotel. O qualcosa del genere.
Quando ho detto ai miei colleghi che sarei voluta andare anche io, abbiamo valutato l'idea di noleggiare un "pulmino". Perchè il problema, mio, non è solo salire. Il problema è anche che, restando più di un tot di ore con le gambe "piegate", poi non cammino più, del tutto. Non sono una "molto facile" da gestire.
Purtroppo, sfiga vuole, erano tre giorni che mi imbottivo di antidolorifici e, quel giorno, sono rientrata al lavoro. Mi è stata data una mano a tirar giù la carrozzina dall'auto, sono stata accompagnata in ufficio e poi, verso le 16:30, sono stata presa in braccio a mò di "principessa" dal Teo che, dopo avermi chiesto "ti fidi di me?" con delicatezza, mi ha sistemata bellamente sul sedile.
E' stato lui a offrirsi per guidare "il mezzo" (è il più giovane all'anagrafe, ma anche il più responsabile. Se trova qualcuno per strada che ha bisogno di una mano, si ferma e chiede se può essere d'aiuto). Desy e Consu gli sarebbero state accanto sul sedile davanti, per tenerlo sveglio durante il tragitto.
Eli, Claudia e io eravamo nel sedile comodo di mezzo, quello in cui potevi stendere le gambe.
Mauri, Gianpy e Barbara erano sul sedile posteriore.
Ormai sono trascorsi quattro mesi da quel viaggio, non ricordo esattamente cosa sia accaduto nel viaggio d'andata. Ricordo però l'arrivo a Bologna: città bellissima, che mai avevo visitato.
Grazie ad alcuni colleghi che mi hanno spinta sulla carrozzina, abbiamo fatto un giretto nella piazza. Era Dicembre e faceva piuttosto freddo, ma non un freddo esagerato.
e, in quella piazza, abbiamo trovato dei nostri colleghi (di cui non ho memorizzato il nome) con i quali abbiamo raggiunto altri colleghi che stavano facendo un aperitivo "in strada". Ci sono queste viettine a Bologna, con i locali, in cui la gente resta in piedi, oppure prende un bicchiere e resta a chiacchierare in strada.
Fosse stata un'altra occasione, avrei temuto per le mie ginocchia. Però, non lo so, ero talmente contenta di esserci, che non ho fatto caso al freddo.
Il palazzo in cui avremmo poi cenato era piuttosto vecchio. La persona che era di guardia all'ingresso non ci ha lasciati entrare fino alle otto e , vedendomi "in crisi" per l'accesso alla sala superiore (ha sentito che con due colleghi parlavamo dell'eventuale mio trasporto in carrozzina), mi ha rasserenata dicendo che c'era un altro ingresso con ascensore. C'era anche il bagno per disabili e una piattaforma per raggiungere la sala chic della cena.
Non ricordo di essere mai stata in un ristorante così bello! Se, anche questa volta, avessi ascoltato "il mio fisico, le mie paure" mi sarei preclusa quest'ennesima serata.
So che non ero al massimo della forma e, essendomi trattenuta col bere, non ero nemmeno al massimo della simpatia :)))). Dopo l'aperitivo in piedi (che è stato il mio primo aperitivo da "seduta sulla carrozzina") ci siamo divisi in tre tavoli e mescolati a colleghi di altre stazioni. Tra i piatti di portata c'erano i garganelli (di cui lessi anni fa in un racconto di Lucarelli "I garganelli al ragù della Lilina") e, al termine, una tombolata in cui ho vinto un cappellino.
Intorno a mezzanotte/ l'una siamo andati a recuperare il nostro mezzo. Mauri, che durante la sera (con mia somma invidia) aveva trascorso gran parte del tempo al bancone dei free drink cercando di conquistare una collega facendo leva sul suo amore per i cani, al quinto o sesto incitamento da parte di mamma Barbara (coetanea) si è deciso ad abbandonare la festa. Si è incamminato sottobraccio alla Eli, che camminava su tacchi vertiginosi, cercando di mantenere l'equilibrio sui sanpietrini.
Credo di essere riuscita a dormire mezz'ora in auto. Qualcuno, non riuscendo a dormire, (a differenza di Consu e Desy che avevano abbandonato Teo alla guida da un pezzo...) ciclicamente lasciava scivolare una mano sulla mia testa, svegliandomi e chiedendo "Ila perchè hai bevuto così poco? Mi hai deluso". E' che... quella sera non era proprio serata.
Siamo tornati a Gallarate intorno alle tre e mezza, eravamo a letto verso le quattro. Eli mi ha fatto la gentilezza di riaccompagnarmi a casa (per la gioia di mia madre! Che, a trentacinque anni suonati, ancora si preoccupa delle mie condizioni di salute) ed è rimasta a dormire da me. Si è addormentata immediatamente! Mentre io, emozionata, frastornata per la serata, ho impiegato più di mezz'ora ad addormentarmi.
Il giorno dopo, al lavoro, la stanchezza era visibile sul mio volto. Mi sono spinta "oltre" le mie possibilità. Ci tenevo a questa cena e ho trovato chi mi ha dato una mano a realizzare questa (per me) grande conquista.
Una mia amica che, da qualche anno, studia a Bologna, vedendo alcune foto su fb mi ha chiesto "Ila! ma eri a Bologna! Potevi dirmelo, ci vedevamo"
"Sono stata lì solo una sera..."
Altri miei amici, quelli che frequento da oltre dieci anni, mi hanno fatto i complimenti "grande Ila! Sei andata a Bologna? Che sbatta..."
Altri mi hanno detto che sono pazza. Ma quello... un pochino, già si sa.
E comunque... da soli, non tutti possono fare tutto. Io, grazie a Teo, Desy, Consu, Mauri, Gianpy, Eli, Barbara e Clà... ci sono riuscita!
Au revoir
martedì 29 marzo 2016
Quello. Che. Mi. Salva. (di Lila Madrigali)
Bonjour,
questa volta pubblico un articolo non mio, ma di una mia omonima. Lila, quarant'enne "spumeggiante" e vitale che, come me, da un giorno all'altro si è ritrovata disabile e a dover combattere con tutte le difficoltà che una malattia degenerativa comporta (e che racconta, nella sua pagina fb "DISABILI SOLARI").
Lila abita a Gallarate, una città vicina alla mia, in cui ho la maggior parte dei miei amici e affetti. Due tra questi sono anche amici di Lila (Samuele e Christian) e Sam l'ha, in qualche modo, aiutata a "uscire un pochino" dalla condizione che la costringe ora in un corpo non propriamente suo, facendole conoscere il Kempo.
Ieri sera quando lessi questo articolo, mi sono commossa. Per il coraggio, la forza di Lila. E mi sembrava doveroso, condividerlo, oggi sul mio blog.
A voi tutti, buona lettura!
“Dai, vieni a fare Kempo anche tu.”
“Ma sono in carrozzina!”
“...e quindi?”
Il dialogo fra me ed il mio amico Sam iniziò in questa maniera. Era estate e, si sa, in estate dar forma ai sogni è più facile; sarà colpa del profumo di fiori nel vento, del sentirsi più tonici per la frutta di stagione, non saprei. Sta di fatto che a parlarne seduti sul divano sembrava un bellissimo volo pindarico, tipico di chi come me mangia pane ed utopia dal primo giorno della sua vita.
Spinta dalla curiosità iniziai a ricercare l'origine del Kempo e mi imbattei in questa descrizione:
<< Il Nippon Kempo (日本拳法) è un'arte marziale giapponese di antiche tradizioni, nata dallo sviluppo e dal miglioramento di altre arti e discipline marziali orientali in particolare cino – giapponesi. Le tecniche sono particolarmente efficaci poiché calci, pugni, proiezioni, lussazioni, leve articolari e combattimento corpo a corpo si effettuano sia in piedi sia a terra in modo estremamente reale ed effettivo. Ciò nonostante è un arte marziale particolarmente sicura, poiché viene praticata con l'ausilio di speciali protezioni (le “corazze” - bo-gu) per permettere, appunto, un combattimento molto reale e completo e ne consentono la pratica senza pericolo di traumi. È, dunque, un' arte non pericolosa che incorpora in sè tutto lo spirito, la filosofia, i principi e le tecniche delle più antiche arti marziali tradizionali. (Fonte: nipponkempo.it ) >>
Le parole “corazze”, “arte non pericolosa” e “sicura” mi coccolano orecchie e pensiero. Passano i mesi ed il profumo dei fiori nel vento si attenua: settembre, momento di agire. La palestra offre una lezione di prova, adesso o mai più. Tutt'al più becco un NO! Il Sensei (1) Renato è molto chiaro: “Tu ti adatterai al metodo. Noi adatteremo il metodo alle tue caratteristiche”. Trasuda marzialità e standogli davanti mi sento piccola piccola.
La Sensei Danila dal sorriso fulgente prende in carico l'esplorazione delle mie capacità fisiche, mi guida, mi sprona, ogni tanto mi bacchetta per eccesso di entusiasmo. Posso approfittare dell'avere attorno a me tante cinture nere, dalle quali carpisco segreti ed esperienze totalmente diverse. Non me ne accorgo nemmeno ma nel giro di una settimana sono in tutto e per tutto parte della palestra.
All'inizio, con me interagiscono soltanto i Sensei ed il mio Senpai (2) Sam che mi conosce come le sue tasche; che lo si accetti o meno, il disabile fa paura ed è difficile relazionarsi con l'ingombro di un corpo inusuale. Mi è riservato un allenamento speciale, protetto, quasi fossi di vetro; la cosa mi ferisce in silenzio, ma i Sensei se ne accorgono. Da qui inizia la magia: ci APRIAMO gli uni con gli altri, accettando di correre dei rischi a vicenda. I Maestri capiscono bene il mio bisogno di eccellere e di mettermi in competizione. Io, dal mio canto, accetto di cambiare l'usuale metodo col quale affronto in genere l'apprendimento.
E' un costante rimettersi in equilibrio su una corda dove non c'è mai un allenamento uguale all'altro, ciò che faccio lunedì potrei non essere in grado di farlo martedì. In palestra penso solo al momento da vivere e noto con entusiasmo che pian piano tutti iniziano a sciogliersi con me, a coinvolgermi nel cerchio dell'allenamento a terra, ad interagire con me adattando la loro esperienza al mio corpo. Mi meraviglio quando il Sensei mi mette in braccio i guantoni: “Certo che combatti anche tu, mica sei diversa dagli altri! E tieni chiusa quella guardia!” L'emozione corre così veloce che il cuore sembra volermisi proiettare fuori dal corpo (ed il mio Senpai Sam, navigato da anni di sport, intravede lo spiraglio emotivo e mi raggiunge con un bel pugno in pieno viso: la prossima volta imparo a tener alta la guardia!).
A settimane di distanza, continuo a guardarlo e vedo nell'espressione dei miei occhi quella di una ragazza che non conosco. Questa nuova Lila è combattiva, mordace, intensa e crede in ciò che fa, lezione dopo lezione, con entusiasmo: l'ultima volta che ho notato quello sguardo avevo 14 anni e giocavo a pallavolo. Non pensavo che sarei mai più riuscita a vedere sul mio viso tanta determinazione ed invece eccola lì immutata nel tempo, a far capolino fra le pieghe del kempogi. (3) .
Nessuna tappa da bruciare, nessun tempo prestabilito da rispettare, nessun confronto con i normodotati e così tanto da imparare, un nuovo senso al tempo. Sul tatami ci sono io, la mia carrozzina e NON l'essere diversamente abile: scacco matto alla disabilità.
Il Kempo mi salva.
Cosa salva TE?
Aurevoir, à la prochaine!
Glossario:(1) Sensei: è un termine giapponese che ha spesso l'accezione di "maestro" o "insegnante". Oltre a indicare i docenti scolastici, viene adoperato anche all'interno delle scuole buddhiste, delle arti e tecniche tradizionali, dove il "maestro" non viene visto come semplice insegnante di nozioni, ma anche come un individuo dotato di autorità ed esperienza, ovvero un "maestro di vita".
(2) Senpai: termine della lingua giapponese che, in ambito prettamente scolastico, viene ad indicare rispettivamente lo studente più anziano. E' comunque molto utilizzato anche in ambito lavorativo, sportivo o, in generale, all'interno di ogni tipo di gruppo organizzato.
(3) Kempogi: nome giapponese per la divisa da allenamento del Kempo.
Fonti: Wikipedia , Pagina facebook Disabilisolari, www.disabili.com
questa volta pubblico un articolo non mio, ma di una mia omonima. Lila, quarant'enne "spumeggiante" e vitale che, come me, da un giorno all'altro si è ritrovata disabile e a dover combattere con tutte le difficoltà che una malattia degenerativa comporta (e che racconta, nella sua pagina fb "DISABILI SOLARI").
Lila abita a Gallarate, una città vicina alla mia, in cui ho la maggior parte dei miei amici e affetti. Due tra questi sono anche amici di Lila (Samuele e Christian) e Sam l'ha, in qualche modo, aiutata a "uscire un pochino" dalla condizione che la costringe ora in un corpo non propriamente suo, facendole conoscere il Kempo.
Ieri sera quando lessi questo articolo, mi sono commossa. Per il coraggio, la forza di Lila. E mi sembrava doveroso, condividerlo, oggi sul mio blog.
A voi tutti, buona lettura!
Quello che mi salva. Lo sport come isola nel mare aperto della disabilità
Può uno sport costituire un punto di ricarica per l'autostima? Io ne sono totalmente certa e vi racconta come sta andando la mia avventura nel mondo delle arti marziali giapponesi
“Dai, vieni a fare Kempo anche tu.”
“Ma sono in carrozzina!”
“...e quindi?”
Il dialogo fra me ed il mio amico Sam iniziò in questa maniera. Era estate e, si sa, in estate dar forma ai sogni è più facile; sarà colpa del profumo di fiori nel vento, del sentirsi più tonici per la frutta di stagione, non saprei. Sta di fatto che a parlarne seduti sul divano sembrava un bellissimo volo pindarico, tipico di chi come me mangia pane ed utopia dal primo giorno della sua vita.
Spinta dalla curiosità iniziai a ricercare l'origine del Kempo e mi imbattei in questa descrizione:
<< Il Nippon Kempo (日本拳法) è un'arte marziale giapponese di antiche tradizioni, nata dallo sviluppo e dal miglioramento di altre arti e discipline marziali orientali in particolare cino – giapponesi. Le tecniche sono particolarmente efficaci poiché calci, pugni, proiezioni, lussazioni, leve articolari e combattimento corpo a corpo si effettuano sia in piedi sia a terra in modo estremamente reale ed effettivo. Ciò nonostante è un arte marziale particolarmente sicura, poiché viene praticata con l'ausilio di speciali protezioni (le “corazze” - bo-gu) per permettere, appunto, un combattimento molto reale e completo e ne consentono la pratica senza pericolo di traumi. È, dunque, un' arte non pericolosa che incorpora in sè tutto lo spirito, la filosofia, i principi e le tecniche delle più antiche arti marziali tradizionali. (Fonte: nipponkempo.it ) >>
Le parole “corazze”, “arte non pericolosa” e “sicura” mi coccolano orecchie e pensiero. Passano i mesi ed il profumo dei fiori nel vento si attenua: settembre, momento di agire. La palestra offre una lezione di prova, adesso o mai più. Tutt'al più becco un NO! Il Sensei (1) Renato è molto chiaro: “Tu ti adatterai al metodo. Noi adatteremo il metodo alle tue caratteristiche”. Trasuda marzialità e standogli davanti mi sento piccola piccola.
La Sensei Danila dal sorriso fulgente prende in carico l'esplorazione delle mie capacità fisiche, mi guida, mi sprona, ogni tanto mi bacchetta per eccesso di entusiasmo. Posso approfittare dell'avere attorno a me tante cinture nere, dalle quali carpisco segreti ed esperienze totalmente diverse. Non me ne accorgo nemmeno ma nel giro di una settimana sono in tutto e per tutto parte della palestra.
All'inizio, con me interagiscono soltanto i Sensei ed il mio Senpai (2) Sam che mi conosce come le sue tasche; che lo si accetti o meno, il disabile fa paura ed è difficile relazionarsi con l'ingombro di un corpo inusuale. Mi è riservato un allenamento speciale, protetto, quasi fossi di vetro; la cosa mi ferisce in silenzio, ma i Sensei se ne accorgono. Da qui inizia la magia: ci APRIAMO gli uni con gli altri, accettando di correre dei rischi a vicenda. I Maestri capiscono bene il mio bisogno di eccellere e di mettermi in competizione. Io, dal mio canto, accetto di cambiare l'usuale metodo col quale affronto in genere l'apprendimento.
E' un costante rimettersi in equilibrio su una corda dove non c'è mai un allenamento uguale all'altro, ciò che faccio lunedì potrei non essere in grado di farlo martedì. In palestra penso solo al momento da vivere e noto con entusiasmo che pian piano tutti iniziano a sciogliersi con me, a coinvolgermi nel cerchio dell'allenamento a terra, ad interagire con me adattando la loro esperienza al mio corpo. Mi meraviglio quando il Sensei mi mette in braccio i guantoni: “Certo che combatti anche tu, mica sei diversa dagli altri! E tieni chiusa quella guardia!” L'emozione corre così veloce che il cuore sembra volermisi proiettare fuori dal corpo (ed il mio Senpai Sam, navigato da anni di sport, intravede lo spiraglio emotivo e mi raggiunge con un bel pugno in pieno viso: la prossima volta imparo a tener alta la guardia!).
A settimane di distanza, continuo a guardarlo e vedo nell'espressione dei miei occhi quella di una ragazza che non conosco. Questa nuova Lila è combattiva, mordace, intensa e crede in ciò che fa, lezione dopo lezione, con entusiasmo: l'ultima volta che ho notato quello sguardo avevo 14 anni e giocavo a pallavolo. Non pensavo che sarei mai più riuscita a vedere sul mio viso tanta determinazione ed invece eccola lì immutata nel tempo, a far capolino fra le pieghe del kempogi. (3) .
Nessuna tappa da bruciare, nessun tempo prestabilito da rispettare, nessun confronto con i normodotati e così tanto da imparare, un nuovo senso al tempo. Sul tatami ci sono io, la mia carrozzina e NON l'essere diversamente abile: scacco matto alla disabilità.
Il Kempo mi salva.
Cosa salva TE?
Aurevoir, à la prochaine!
Glossario:(1) Sensei: è un termine giapponese che ha spesso l'accezione di "maestro" o "insegnante". Oltre a indicare i docenti scolastici, viene adoperato anche all'interno delle scuole buddhiste, delle arti e tecniche tradizionali, dove il "maestro" non viene visto come semplice insegnante di nozioni, ma anche come un individuo dotato di autorità ed esperienza, ovvero un "maestro di vita".
(2) Senpai: termine della lingua giapponese che, in ambito prettamente scolastico, viene ad indicare rispettivamente lo studente più anziano. E' comunque molto utilizzato anche in ambito lavorativo, sportivo o, in generale, all'interno di ogni tipo di gruppo organizzato.
(3) Kempogi: nome giapponese per la divisa da allenamento del Kempo.
Fonti: Wikipedia , Pagina facebook Disabilisolari, www.disabili.com
venerdì 15 gennaio 2016
SALVINI RISPONDI A IACOPO MELIO
Iacopo
Melio (ragazzo disabile di 22 anni) il 13 gennaio 2016 ha ribattuto a
un post sulla pagina fb di Matteo Salvini in cui il politico asseriva:
"Il KAMIKAZE che ha fatto 10 morti a Istanbul era un 27enne siriano, entrato come "PROFUGO", che aveva chiesto asilo politico.
Intanto in Italia continua ad entrare chiunque..." e Iacopo, ritenendo che le cose non stessero esattamente in quel modo, a inviato un commento (eccovi lo screenshot)
Matteo Salvini non ha risposto a Iacopo, ma a questo commento sono seguiti commenti "pesanti" da seguaci della pagina fb (li posto qui sotto...)
Credo che ognuno di noi, se avesse potuto scegliere come essere, si sarebbe fatto più carino/ meno magro/ meno grasso/ con un naso più gentile / con le gambe meno storte/ con una faccia più presentabile/ con un culo meno floscio/ con due taglie in più di tette, ...
"Il KAMIKAZE che ha fatto 10 morti a Istanbul era un 27enne siriano, entrato come "PROFUGO", che aveva chiesto asilo politico.
Intanto in Italia continua ad entrare chiunque..." e Iacopo, ritenendo che le cose non stessero esattamente in quel modo, a inviato un commento (eccovi lo screenshot)
Matteo Salvini non ha risposto a Iacopo, ma a questo commento sono seguiti commenti "pesanti" da seguaci della pagina fb (li posto qui sotto...)
Credo che ognuno di noi, se avesse potuto scegliere come essere, si sarebbe fatto più carino/ meno magro/ meno grasso/ con un naso più gentile / con le gambe meno storte/ con una faccia più presentabile/ con un culo meno floscio/ con due taglie in più di tette, ...
e credo che nessuno di noi
- sono disabile anche io! dal 2006 -
abbia il piacere a essere giudicato
per i difetti fisici
che ha.
Perché sono già un peso gigante
da portarsi dietro
da far vedere al mondo
- a meno che ti barrichi in casa e non fai entrare nessuno... -
Ho visto che un paio di pagine fb si sono dimostrate solidali a Iacopo
e io non ho altri strumenti se non due blog, fb e twitter per essere solidale con Iacopo.
A
Matteo Salvini (che spero mi leggerà) chiedo di dissociarsi con gli
ignoranti/ maleducati che hanno offeso Iacopo. Chiedo a Salvini di
ribattere al commento del ragazzo (se vuole), ma NON NE FACCIO UNA
QUESTIONE POLITICA.
Non
credo che gli spregevoli commenti riversati su Iacopo (ha 22 anni
cazzo! è poco più che un ragazzino!) possano essere anche il suo
pensiero. Credo solo l'italia sia un Paese pieno di persone imperfette,
ma molte di più siano quelle frustrate che (quando non sanno come
attaccare) ti attaccano sulla tua parte "più debole".
SALVINI DISSOCIATI!
SALVINI RISPONDI A IACOPO MELIO!
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